Giornata di apertura Master in Social Entrepreneurship - EMSE | Seminario "Partnership tra pubblico e privato per la co-progettazione dei servizi".

 

Durante la giornata inaugurale dell’Executive Master in Social Entrepreneurship si è tenuto il Seminario “Partnership tra pubblico e privato per la co-progettazione dei servizi”. In seguito agli interventi di Elena Zuffada, Professoressa ordinaria di Economia aziendale e Direttrice scientifica Master MIPA/C, e di Debora Caldirola, Ricercatrice presso Facoltà di Scienze Politiche e Sociali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, Luca Pesenti, Professore Associato di Sociologia UCSC, ha aperto la tavola rotonda composta dal Comune di Milano, Fondazione Welfare Ambrosiano, Gruppo Nestlé e Banco Alimentare Lombardia

Nel suo intervento, il Professore ha sottolineato come il welfare abbia bisogno di responsabilità e debba essere accompagnato al concetto di trasparenza, accountability, attenzione ad impatto intergenerazionale, politiche a somma zero. Il Welfare, in sostanza, deve tendere all’orizzontalità e alla pluralità di soggetti che si auto acquisiscono un ruolo pubblico: l’attore pubblico non deve necessariamente ricoprire tale ruolo. 

Alessia Coeli, responsabile dell’area formazione ALTIS, ha introdotto il tema oggetto del seminario: “creare alleanze è fondamentale per erogare servizi sempre più efficaci. È necessario analizzare il contesto per capire quali sinergie si possono attivare sul territorio e con quali interlocutori realizzare la propria idea.” 

La prof.ssa Elena Zuffada, ha poi iniziato il suo speech, affrontando il tema della partnership tra pubblico e privato da un punto di vista gestionale. Dopo aver delineato il contesto, le definizioni e la letteratura che ruota intorno all’ambito della co-produzione e co-progettazione dei servizi ha spiegato che essi costituiscono una relazione, una congiunzione spazio temporale dei processi di produzione e consumo. Il fruitore di tali servizi non è quasi mai passivo e attraversa diversi gradi di fruizione.


Pertanto, in fase di progettazione di un servizio, occorre riflettere attentamente sul grado di fruizione dell’utente, specialmente perché è portatore di competenze e/o informazioni interessanti ed utili per la definizione di un buon servizio. La partnership tra pubblico e privato risulta essere un approccio contiguo a quello della co-produzione: la Prof.ssa Zuffada ne ha delineato il perimetro in 4 punti: 
 

  1. service management, dove l’utente viene coinvolto e diventa protagonista della produzione del servizio; 
  2. partnership pubblico privato con le quali si passa dal modello public management (che punta sulla privatizzazione per snellire la PA) ad un modello di public governance, dove l’amministrazione pubblica assume il ruolo da “cabina di regia” e gestisce un network di soggetti pubblici, privati, profit e non profit per l’erogazione di servizi pubblici. Lo stato diventa così un soggetto capace di gestire relazioni; 
  3. il tema della co-produzione si intreccia con quello della sussidiarietà orizzontale, principio recepito anche a livello costituzionale: l’interesse pubblico vede l’intervento di corpi intermedi e ne valorizza il loro contributo;
  4. e, più recentemente, si è sviluppato il tema dello stakeholder engagement: ingaggio di portatori di interesse e strutturazione con essi del loro coinvolgimento. 
     

Questi temi sono strettamente intrecciati anche al tema della sostenibilità e degli SDGs: il 17esimo obiettivo infatti, sostiene che “uno sviluppo sostenibile di successo è possibile solo con una stretta partnership tra governi, soggetti privati e società civile”: in quest’ottica, l’engagement degli stakeholder può portare ad una  sostenibilità economica, a una sostenibilità sociale, ad un miglioramento nell’impatto che le politiche pubbliche possono avere nelle società ed in generale, anche ad una sostenibilità istituzionale. 


Con co-produzione si intende perciò, lavorare per creare e accrescere un rapporto di fiducia tra amministrazioni pubbliche e cittadini. La co-produzione implica la co-decisione (i cittadini sono chiamati a dar voce alla loro conoscenza del territorio e delle sue esigenze, portando all’amministrazione pubblica il valore di queste informazioni), la co-valutazione e la co-progettazione. In sintesi, secondo la Professoressa, un elemento fondamentale della co-produzione è il ruolo dell’utente: esso non è percepito come un cliente bensì come un partner.


L’engagement dell’utente permette e ha permesso lo sviluppo di casi di successo, ad esempio: crowdfunding per la ristruttrazione del duomo di Pisa, reti territoriali di conciliazione sul suolo Lombardo, formulazione di piani personalizzati in regione Sardegna con l’associazione per i bambini cerebrolesi, reti sociali di quartiere di Bergamo, gestione degli eventi alluvionali e costruzione di una rete di protezione civile, installazione di defibrillatori in diversi punti della città di Piacenza e formazione dei cittadini, fino al recupero di aree del territorio di Alessandria.


La co-produzione dei servizi può quindi trovare attuazione in molti ambiti diversi. La prof.ssa Zuffada, ha poi chiarito quali sono i vantaggi della co-produzione per la PA:


1.    Aumentare la legittimazione e il livello di fiducia della società verso le istituzioni pubbliche;
2.    Migliorare la trasparenza (accountability) dei processi decisionali o gestionali (si pensi al dibattito pubblico)
3.    Promuovere innovazione;
4.    Assumere decisioni maggiormente condivise e/o abbattere costi di transazione;
5.    Erogare servizi pubblici migliori e maggiormente «calzanti» rispetto alle esigenze dei cittadini o di maggiore qualità;
6.    Limitare le attività e i servizi che non generano veramente valore;
7.    Mobilitare risorse e capitale presenti in un territorio.


La strada però è ancora in salita: come dialogare tra pubblico, privato e non profit? Secondo la Prof.ssa Zuffada, occorre considerare le inevitabili problematiche legate al contemperamento degli interessi di tre soggetti così diversi tra loro. Per tale motivo, è necessario sviluppare competenze professionali adeguate, realizzare modelli organizzativi e di coordinamento efficaci, superare le distanze culturali ed i pregiudizi e utilizzare strumenti di misurazione dei risultati idonei.


Quali sono quindi i passi da compiere?
1.    Ragionare su cosa vuol dire costruire una partnership e ricercare elementi congruenti tra loro: ad esempio, identificare i partner e le motivazioni che li spingono a collaborare;
2.    Definire perfettamente gli attori coinvolti, gli obiettivi e la struttura delle responsabilità di ognuno
3.    Sviluppare relazioni di fiducia: occorre imparare a dialogare superando i pregiudizi;
4.    Imparare dall’esperienza e sperimentare nuove soluzioni di co-produzione, co-progettazione, co-decisione.

 

Se la prof.ssa Zuffada, ha affrontato il tema da un punto di vista gestionale, la prof.ssa Debora Caldirola, Ricercatrice presso Facoltà di Scienze Giuridiche e Sociali dell’Università Cattolica del sacro Cuore, lo ha analizzato a partire da un livello giuridico e costituzionale. 


La prof.ssa Caldirola ha spiegato perché si parla di alleanze, di co-produzione e co-progettazione con la PA: perché da sempre, l’opinione pubblica ha ritenuto che le prestazioni di servizi sociali dovessero essere di esclusiva prerogativa della pubblica amministrazione. In realtà, tale idea non è vera, non c’è un legame ineludibile tra diritti sociali e prestazioni pubbliche.


La prof.ssa Caldirola, ne spiega il motivo citando il secondo articolo 2 e 3 della Costituzione: “le formazioni sociali sono componenti essenziali del nostro sistema sociale e dei nostri diritti fondamentali; c’è corresponsabilità tra poteri pubblici, singoli e formazioni sociali, nel realizzare l’uguaglianza sostanziale, ovvero rimuovendo gli ostacoli che impediscono l’effettiva partecipazione di tutti i cittadini alla vita politica e sociale del nostro paese”.


La prof.ssa ha spiegato che, nonostante si pensi che la Repubblica sia composta da soli apparati amministrativi, nella realtà è composta da cittadini, organizzazioni, imprese, formazioni sociali: tutti devono concorrere e collaborare per eliminare le differenze che derivano da un deficit economico e sociale. 


Inoltre, non esiste un monopolio pubblico di prestazioni e servizi: i diritti sociali sono tali perché la domanda è sociale, arriva dalla società. L’offerta quindi, non deve essere per forza pubblica. Secondo la prof.ssa Caldirola, l’espansione della burocrazia nei diritti sociali è stato frutto di un preconcetto ideologico nei confronti della solidarietà umana o ideale. Allo stesso modo, non esiste, nel pensiero liberista, l’idea che l’impresa profit possa avere un obiettivo solidale: un tempo infatti, si pensava che la solidarietà non potesse essere spontanea.


Dalla solidarietà spontanea invece, riconosciuta dalla nostra Costituzione, prende forma il principio di Sussidiarietà, in cui il cittadino e i corpi intermedi sono coinvolti nell’esercizio delle funzioni pubbliche. Lo Stato, le regioni, le città e i comuni devono favorire l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale e trovare il modo di lavorare insieme. Sulla base del principio di sussidiarietà orizzontale si è sviluppato e ha preso forma quello del Welfare mix: anche in questo caso, da un sistema nel quale il welfare pubblico era separato da quello privato si è passati ad una progressiva integrazione tra i due: il principio di sussidiarietà prevede quindi, l’immedesimazione del cittadino e della società organizzata nell’esercizio delle funzioni amministrative.


Non solo: anche il cittadino ed il servizio pubblico devono trovare forme di integrazione nell’offerta di welfare. La prof.ssa Caldirola, ha poi spiegato i vantaggi e le novità degli strumenti di cooperazione introdotti dal Codice del Terzo Settore: in primis, è stata fondamentale perché ha chiarito come ci possa essere integrazione tra tutte le diverse sfere della società civile. Il privato ed il Terzo settore infatti, non sono più i soggetti su cui l’ente pubblico si appoggia per erogare prestazioni: il terzo settore al contrario, diventa l’interlocutore privilegiato dei soggetti pubblici e disegna insieme all’amministrazione pubblica l’offerta dei servizi: “attraverso la co-programmazione e la co-progettazione, le aziende profit disciplinate dal Codice del Terzo settore possono apportare informazioni e competenze per strutturare i servizi necessari. Per questo, il dialogo tra corpi intermedi, pubblica amministrazione e società civile diventa ancora più importante.” 


La professoressa ha in seguito illustrato il ruolo dell’impresa sociale: essa risulta essere parte del Terzo settore sebbene eserciti attvità economica di impresa. Per la sua struttura organizzativa, essa ha la capacità di attirare capitali utili: rientra nel Terzo settore ma è dotata di una disciplina ben separata da esso. "L’impresa sociale non è un nuovo soggetto di diritto. Si tratta di una qualifica che può essere assunta dagli enti privati a prescindere dalla forma giuridica della loro costituzione: qualsiasi tipologia di ente commerciale può assumere la qualifica di impresa sociale a condizione che svolga un’attività di interesse generale, non persegua scopi di lucro ma finalità solidaristiche, coinvolgendo lavoratori ed utenti."


L’impresa sociale, più di ogni altro soggetto del Terzo settore, è in grado di cogliere con maggior tempestività quelli che sono i bisogni sociali, attraendo capitali finanziari e diventando l’interlocutore privilegiato dell’Amministrazione Pubblica. La Prof.ssa Caldirola ha illustrato gli strumenti di collaborazione e co-operazione utili per la costruzione del dialogo tra pubblico e privato: 
 

  1. co-programmazione nella definizione dei bisogni da soddisfare, degli interventi, delle modalità di realizzazione degli stessi e delle risorse disponibili per organizzare un servizio di welfare; 
  2. co-progettazione per la pianificazione e la definiziione della tipologia di servizio che si vuole offrire;
  3. attività di accreditamento.


Infine, ha illustrato un’altra grande opportunità offerta dal codice del Terzo Settore: la possibilità di creare una società mista, pubblico-privata con qualifica di impresa sociale. La particolarità di questa società è il ruolo dell’ente pubblico: esso infatti, non può avere ruolo di presidenza, controllo e coordinamento.


Tale caratteristica permette di presentare un’offerta con più anime, nella quale la condivisione di responsabilità rende la società stessa più efficace a livello organizzativo, più stabile e duratura nel tempo. La società mista quindi, permette di costruire servizi flessibili, snelli, mettendo in campo una rete di sinergie. 


In conclusione, in questo contesto, il codice del Terzo settore apre una strada che può far crescere il paese da un punto di vista economico e lavorativo ed aprire al dialogo tra settore pubblico e privato.
 

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