Se un ristoratore consiglia di non mettere troppa carne al fuoco bisogna credergli. Ed è proprio il suggerimento che Diego Panizza, co-fondatore dell’esclusivo Horto Restaurant, a Milano, ha rivolto ai diplomandi del Master MSBA al termine di un intervento molto apprezzato. Il nuovo dialogo di ALTIS con gli innovatori della sostenibilità parte proprio dalla sua esperienza, nata nel 2016 come progetto di inclusione sociale.
L’idea iniziale di Panizza, in passato ideatore dell’originale Bianchi Caffè, a Milano, era infatti di dare vita a un luogo che offrisse opportunità di inserimento lavorativo per ragazzi con la sindrome di down. Ma la prematura scomparsa del padre di uno dei ragazzi ne ha impedito di fatto la prosecuzione. Il progetto ha così preso la connotazione odierna, quella di un ristorante con doppia stella Michelin, rossa e verde, ottenute nel primo anno di attività, situato all’ultimo piano di un palazzo con terrazza vista Duomo e caratterizzato da una spiccata vocazione per la sostenibilità.
Da quali gli elementi siete partiti lei e Alberto Toè, il giovane chef che guida la cucina?
Anzitutto, abbiamo cercato di abbinare il nostro progetto alla filosofia di Norbert Niederkofler, già 3 stelle Michelin, compiendo precise scelte di recupero materiali e di sostenibilità per sistemare e arredare il locale.
In che modo?
I pavimenti, ad esempio, sono stati costruiti recuperando delle vecchie botti di rovere da alcune persone che cercavano un modo corretto per smaltirle.
Le altre azioni di recupero?
Per riutilizzare la paglia del riso, l’abbiamo impastata con la calce e messa sui muri, in modo che servisse come isolante. Inoltre, il tavolo posto davanti alla cucina è un cedro del Libano che purtroppo era stato srdadicato da un nubifragio in Puglia e non era recuperabile.
Per quanto riguarda la parte esterna del ristorante, i 700 metri quadri di giardino?
Abbiamo optato per una natura orizzontale, molto selvaggia: recentemente, abbiamo avviato la prima manutenzione dalla messa in opera, che risale al giugno del 2022. Per quasi due anni il giardino è stato autosufficiente, senza bisogno di camion che portassero nuova terra o concimi e capace di resistere alle notevoli intemperie capitate in città.
Guardando alla parte food, come realizzate i principi della sostenibilità?
Abbiamo messo a punto l’ora etica. Partendo dal centro di Milano, dove noi ci troviamo, il chilometro zero non era realmente praticabile, perché a un chilometro di distanza ci sono ancora le case. Abbiamo perciò considerato come nostra unità di misura quella di un’ora di auto dalla città entro cui poter raggiungere i nostri fornitori.
Com’è organizzata la vostra filiera corta?
Con quattro poli di approvvigionamento, situati in Franciacorta, Lodi, parco del Ticino e alta Brianza. Abbiamo consorziato i fornitori di ciascun polo, in modo da poterci rifornire, tramite loro, di tutte le materie prime di cui abbiamo bisogno, dalle carni ai formaggi, dalle verdure al pesce d’acqua dolce.
Come li avete selezionati?
Nella prima fase del progetto, ci capitava spesso di incontrare molti bravissimi agricoltori, tutti accomunati dal fatto di coltivare prodotti di eccellenza, ma anche di non voler tornare con frequenza a Milano per portare la merce.
Come mai?
Si trattava, per la maggior parte, di ex docenti in agraria che sono “scappati” dalla città. Ne è seguito un bellissimo confronto, da cui è nato il nostro progetto di microeconomia locale: all’inizio dell’anno, Horto garantisce a questi agricoltori e allevatori l’acquisto dell’intera produzione per i successivi dodici mesi.
Ma come fate a utilizzare tutto?
Mettiamo in pratica la filosofia dei nostri nonni, ad esempio quella che al sud faceva conservare nei barattoli il pomodoro o le verdure. In pratica, la parte di prodotti che non riusciamo ad utilizzare giornalmente la trattiamo come purè, conserve e marmellate. Alla fine dell’estate, quando i prodotti reperibili tramite l’ora etica vanno a diminuire, abbiamo a disposizione circa 1.000 vasetti con tutti i prodotti trasformati.
Quali sono gli altri fattori organizzativi del consorzio?
Per convincerli a portare da noi i loro prodotti di eccellenza, i fornitori dei singoli poli (da 3 a 5 per ogni zona), a turno vanno a ritirare anche quelli degli altri, in modo che ciascuno faccia circa un solo viaggio al mese verso Milano.
Avete anche un progetto di responsabilità sociale che riguarda l’acqua?
Rinunciando a sponsorizzazioni importanti, usiamo l’acqua in caraffa in modo da eliminare completamente i trasporti. Per ogni caraffa utilizzata, devolviamo 1 euro fino al raggiungimento di 3.500 euro. La fondazione benefica dell’azienda di filtraggi BWT, nostro fornitore per questo, raddoppia la somma, che viene destinata per la costruzione e successiva manutenzione per tre anni di un pozzo in Africa.
Da dove è nata in lei l’attenzione agli elementi di sostenibilità per le sue attività?
Sono nato a Vermiglio, l’ultimo comune prima del passo del Tonale: fino agli anni ’90 avevamo la fortuna di avere il ghiacciaio, che è diminuito sotto i nostri occhi, posso dire che un po’ di coscienza in materia me la sono fatta sul campo.
Parlando agli studenti del Master si è soffermato anche sull’importanza dell’errore.
Gli errori fanno parte del gioco e sono utilissimi. Ad esempio, per le divise dei nostri camerieri, oggi lo staff è composto da 25 persone, inizialmente avevamo riutilizzato la stoffa acquista da vestiti usati, ricolorandola e facendola cucire da una cooperativa di ragazze madri. Il tessuto, però, si è rivelato inadatto e in sei mesi abbiamo dovuto prenderle di nuove dal circuito tradizionale, pur sempre utilizzando tessuti e colori naturali. Abbiamo capito una volta in più che non bisogna mettere troppa carne al fuoco, ma saper affiancare alla cosa grande che si fa altre più piccole, imparando a cambiare strada quando è necessario.
di Nicola Varcasia