Re-think Circular Economy Forum: intervista alla ricercatrice Laura Maria Ferri

La scorsa settimana si è tenuto Re-think Circular Economy Forum, un evento pensato per stimolare un pensiero critico nei confronti di alcuni elementi dell’attuale sistema economico industriale, mostrando i possibili trend evolutivi dell’Economia Circolare. Il forum è stato organizzato da Tondo, organizzazione non profit che vuole accelerare la transizione verso un sistema industriale ed economico rigenerativo, e ha visto la partecipazione di ALMED come partner organizzativo e ALTIS come partner scientifico.

 

 

Abbiamo intervistato la nostra ricercatrice Laura Maria Ferri, Dottore di ricerca in Gestione d’Impresa, attualmente Ricercatrice in Economia Aziendale presso la Facoltà di Scienze Politiche e Sociali dell’Università Cattolica di Milano e referente scientifico del forum Re-think.

 

Perché ALTIS ha supportato un evento come Re-think e perché è importante parlare di economia circolare?

Promuovere eventi come Re-think è fondamentale per favorire la diffusione di una cultura orientata all’Economia circolare. Benchè negli ultimi anni si parli molto di questo tema, le organizzazioni faticano a comprendere come e perché investire nello sviluppo di modelli produttivi innovativi basati sulla riduzione – ma sarebbe meglio parlare di valorizzazione – di sprechi e scarti. Il confronto con realtà che sono già impegnate in tal senso, quindi, permette di trovare idee e spunti, favorisce la collaborazione tra organizzazioni e costituisce un motore di sviluppo.

 

Durante l'evento è stato più volte sottolineato come sia necessario cambiare prospettiva sul modello di sviluppo e strategia industriale, soprattutto nel contesto italiano fatto di piccole e medie imprese. Come possono oggi le PMI integrare modelli di economia circolare e sviluppo economico?

Tra le realtà più impegnate nello sviluppo di modelli produttivi circolari, molte sono start-up o PMI. In un certo senso queste imprese sono avvantaggiate: da un lato, si sa che sono realtà con un elevato potenziale innovativo; dall’altro la realizzazione dell’economia circolare oggi sconta ancora un problema legato alle difficoltà di applicare il modello su larga scala. Certamente l’impegno è limitato dalla scarsità di risorse di cui spesso soffrono le PMI, dall’elevato rischio che caratterizza tutti i processi innovativi e dalla mancanza di competenze e conoscenze adeguate.

Tuttavia, i vantaggi nel medio-lungo termine sono numerosi: le imprese che per prime riusciranno a sviluppare modelli circolari potranno differenziarsi sul mercato e proporsi come partner privilegiato per grandi imprese e istituzioni; in secondo luogo, lo sviluppo di processi produttivi circolari si basa sulla capacità di trovare soluzioni che permettano di ridurre le risorse utilizzate, eliminare gli sprechi di produzione o recuperare materiali di scarto considerati a basso valore, con evidenti benefici in termini di efficienza e diminuzione dei costi.

 

Cosa è necessario cambiare per favorire la transizione verso l’economia circolare?

Credo che si possano individuare quattro fattori chiave.

Il primo, come detto sopra, è rappresentato dalla necessità di sviluppare e consolidare una cultura della circolarità tra le imprese, ma anche tra i consumatori.  Processi circolari necessitano del coinvolgimento attivo dei consumatori non solo in fase di acquisto, ma anche e soprattutto in fase di recupero e restituzione dei prodotti a fine vita. Un grande problema oggi è, infatti, che gli scarti e i rifiuti sono dispersi e quindi difficili da recuperare, con evidenti aumento dei costi di recupero e trasporto. Spesso questo rappresenta un freno all’ampliamento dei progetti realizzati dalle imprese.

Il secondo richiama fortemente alla necessità di rivedere le attuali norme in materia di gestione dei rifiuti e utilizzo di componenti chimici. Rispetto al primo, è necessario far sì che alle imprese convenga recuperare, riciclare, donare o vendere scarti, rifiuti o prodotti a fine vita. Oggi, invece, alle imprese spesso costa meno – in termini economici, ma anche di responsabilità – smaltirli piuttosto che metterli a disposizione per altri utilizzi. L’utilizzo di componenti chimici, invece, limita le possibilità di riutilizzare materiali in altri processi produttivi. Pertanto, sarebbe necessario promuovere l’utilizzo di componenti più naturali, meno inquinanti o pericolosi per la salute, così da facilitare la rilavorazione o il riutilizzo.

Il terzo fattore chiave è rappresentato dalla promozione di collaborazioni sul territorio, tra imprese, istituzioni e organizzazioni non profit. Pochi sono ancora i casi di imprese geograficamente vicine che sono spinte a condividere risorse o a mettere a disposizione scarti e rifiuti. In tal senso, bisognerebbe lavorare a livello di distretti o di comunità di imprese, così da ridurre i costi legati al recupero e trasporto e facilitare lo scambio di risorse seconde. In questa direzione, ad esempio, si potrebbe promuovere la formazione di piattaforme per lo scambio di materiali di recupero o scarti di produzione, o ancora si potrebbe facilitare lo sviluppo di soluzioni logistiche che permettano alle imprese di ridurre i costi associati al trasporto. Sempre in quest’ottica, si dovrebbero promuovere le collaborazioni con organizzazioni del terzo settore, favorendo così anche l’impatto sociale dell’economia circolare.

Da ultimo, ma altrettanto importante, è favorire lo sviluppo di conoscenze e competenze dedicate all’economia circolare. Oggi, infatti, siamo abituati a ragionare secondo modelli lineari, ma l’economia circolare richiede di saper comprendere e sfruttare le connessioni tra processi produttivi, così da capire quali scarti e rifiuti potrebbero offrire nuove opportunità e nuove applicazioni. Allo stesso modo, sarà sempre più fondamentale sviluppare competenze logistiche attraverso cui rendere possibile l’estensione dei processi produttivi e l’allungamento del ciclo di vita dei prodotti e dei materiali. Anche le conoscenze in ambito di gestione ambientale e sociale diventeranno sempre più strategiche, in quanto permetteranno di individuare le aree di maggiore impatto e, così, indirizzare il processo innovativo.

 

Oltre ad un impatto positivo a lungo termine a livello economico ed ambientale, una transizione verso una cultura della circolarità genera quindi anche un forte impatto sociale. In che modo?

Certamente! I risvolti sociali associati alla transizione verso modelli produttivi circolari sono numerosi e molto rilevanti. C’è sicuramente un vantaggio associato alla creazione di posti di lavoro, grazie allo sviluppo di nuove attività legate al recupero e rilavorazione di scarti e rifiuti. In secondo luogo, l’economia circolare necessita di un grande impegno nell’innovazione, che sappiamo bene essere motore di sviluppo economico e sociale. Ma abbiamo anche impatti positivi nel lungo periodo legati all’incremento della qualità della vita determinato dalla riduzione dell’inquinamento, dalla maggiore consapevolezza dei consumatori, dal miglioramento delle abitudini di acquisto e consumo, solo per citarne alcuni.

 

 

 

Guarda il programma di Re-think per scoprire gli speaker e le organizzazioni presenti. 

Scarica il Quaderno di Economia Circolare realizzato da AISEC, ALTIS e Bureau Veritas Italia

 

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